Il nostro territorio considerato uno dei posti più belli al mondo

Tuscia, Terra selvaggiaBoschi, castelli e laghi Dai tesori etruschi di Vulci a Canino, “capitale” dell’olio d’oliva attraverso uliveti e covi di briganti si assapora una dimensione che per le metropoli moderne è ormai tragicamente smarrita.

Data:
29 Agosto 2012

Tuscia, Terra selvaggia
Boschi, castelli e laghi

Dai tesori etruschi di Vulci a Canino, “capitale” dell’olio d’oliva attraverso uliveti e covi di briganti si assapora una dimensione che per le metropoli moderne è ormai tragicamente smarrita. L’alchimia di una regione ancora a misura d’uomo
di VALERIO MAGRELLI

Il nostro territorio considerato uno dei posti più belli al mondo

Pare che l’ex direttore della celebre guida Lonely Planet, interpellato sui due luoghi più belli e meno noti al mondo, abbia risposto: “Al primo posto collocherei l’isola della Nuova Zelanda in cui abito. Quanto al secondo, è situato agli antipodi, in una zona dell’Italia centrale a bassa densità di popolazione, fra Viterbo, Orvieto e il Tirreno”. Stiamo parlando, insomma, della Tuscia, che ha così ricevuto uno fra i massimi riconoscimenti immaginabili.

Estesa da Montalto al Lago di Bolsena, essa include Canino, “capitale” dell’olio d’oliva, Valentano, il delizioso “ovale” di Tessennano, Ischia di Castro, Farnese, Tuscania, Tarquinia, spingendosi fino ai Cimini e alla smagliante Caprarola. Alcuni la definiscono “Maremma laziale”, ma non conviene dirlo ai vicini toscani. Enorme, d’altra parte, è la differenza fra le due culture. Mentre il paesaggio in provincia di Grosseto è protetto, talvolta sin troppo curato, con certi borghi consacrati al turismo di lusso, la provincia di Viterbo, dominata com’è dal cupo tufo, risulta invece rustica, severa se non selvaggia (benché spesso sfregiata da abusi edilizi). Tuttora caratterizzato da latifondi, il territorio permette la scoperta, davvero rara nel nostro paese, di immensi spazi incontaminati.

E il risultato è che, passando il confine verso Sud, i prezzi di terreni e abitazioni, o i costi di negozi e ristoranti, si dimezzano. Da qui la battuta di alcuni toscani, i quali, dopo aver ospitato qualche amico laziale, al momento del rientro, ironizzano: “È ora che torniate nella Ddr”. Ma avercene, di Ddr simili! Strade meravigliose, come quella fra Canino e Manciano, sprofondata nel verde, senza una casa, con uliveti a perdita d’occhio e boschi, fiumi, secolari ponti di pietra, laghetti nascosti. Oppure, una chiesetta del Sangallo, a Cellere, che sbuca da una curva, come niente fosse. Non parliamo poi dei romitori del XIII secolo, fra i quali spicca una specie di Petra scavata nella roccia al riparo di una cascata, lungo il fiume Fiora.
 
Proprio il Fiora ci porta al Parco archeologico di Vulci, da cui proviene la leggendaria Tomba François (ormai sepolta nel Museo dei Torlonia). Al di là dell’interesse storico, il sito etrusco si raccomanda per le bellezze naturali e artistiche, che il cinema ha sfruttato a dovere. Dov’è il castello che troneggia in Brancaleone di Mario Monicelli? E dov’è lo specchio d’acqua in cui nuotano Aldo, Giovanni e Giacomo, nel film Tre uomini e una gamba? “Vulci, Vulci, fortissimamente Vulci”  –  uno spazio toccante, che, d’estate, ospita cicli di concerti all’aperto.

Di antiche civiltà si occupò D. H. Lawrence in Luoghi etruschi, che alterna la descrizione delle necropoli a quella della campagna malarica intorno a Montalto, passando dall’amore per il popolo di Porsenna all’odio per l’imperialismo della civiltà romana (prima latina, poi fascista). Affascinato dall’istintualità della misteriosa cultura scomparsa, l’autore inglese, come è stato detto, vede nell’universo etrusco un mitico luogo di elezione, non ancora viziato dall’intellettualismo. Insomma, gli Etruschi di Lawrence somigliano ai suoi amati Messicani, reperti di un’antropologia fossile, eppure umanissima.

Ma la gita prosegue con altre meraviglie. Saltando le imperdibili Tarquinia e Tuscania, ricordo Farnese, con le alte arcate che tagliano l’abitato per consentire ai nobili del luogo il transito dalla loro residenza ai giardini. Il risultato è una piccola Siviglia, dove, a fare da quinta alla piazza, invece di un acquedotto, sta l’antico passaggio pedonale. Splendido anche lo stesso palazzo Farnese (che trova molti omologhi nella regione). Quello che più sorprende, però, è la sua metamorfosi in condominio, con saloni trasformati in appartamentini, corridoi con citofono, panni stesi dietro cui, nondimeno, fa spicco lo stemma in pietra degli Anguillara. Nel bar attiguo, memorabili cioccolatini…

Vorrei ancora citare la Selva del Lamone, un labirinto di boschi, con vaste distese di lapilli e strapiombi vulcanici, dove pare che anche l’esercito romano finisse per smarrirsi. A parte i supposti richiami danteschi, la zona divenne nota, dopo l’Unità d’Italia, per ospitare covi di briganti. Fu qui che i carabinieri uccisero il temibile Tiburzi. E non è tutto. Proprio lì accanto, come dentro una giungla sudamericana, si nascondono le rovine di un’intera città, edificata da architetti come lo stesso Sangallo. Era il 1649, quando Innocenzo X ne decise la distruzione. Castro, con la sua zecca, fu rasa al suolo, e venne battezzata “La Cartagine della Maremma”…

Il ducato di Castro fu istituito nel 1537 da Paolo III Farnese (lo stesso dell’omonimo palazzo romano), che ne fece dono al figlio Pier Luigi. Nativo di Canino, questo grande papa fondò la stirpe che, secoli dopo, regnò su Parma. Ora, attenzione! Parma è la città in cui Stendhal ambientò La Certosa, ma lo stesso Stendhal, combinazione, visse a lungo a Civitavecchia, dove era stato “esiliato” dopo Waterloo in quanto bonapartista. Ebbene, neanche a farlo apposta, pochi anni prima, sempre proveniente da Parigi, il più brillante tra i fratelli di Napoleone, Luciano Bonaparte, era fuggito proprio a Canino, divenendone principe (oltre che spregiudicato pioniere degli scavi etruschi). Logico che Stendhal, come ha mostrato Ludovica Cirrincione, si precipitasse ad omaggiarlo. Era 1835, e forse fu proprio da quella visita, insieme “farnesiana e bonapartista”, che nacque il primo germe della Certosa di Parma.

Ma basta col passato: fermiamoci al presente. Oggi il fascino della Tuscia va cercato nella misura, nella discrezione. Penso al tessuto urbano di Canino, e insieme al suo fortissimo sentimento identitario, con feste, sagre, mercati, sfilate, cerimonie. Paesi del genere hanno saputo conservare una dimensione che per le metropoli italiane è oramai tragicamente smarrita. È a questa posizione defilata che si riferiva l’ex direttore di Lonely Planet, indicando la Tuscia addirittura dal fondo di un’isoletta dell’Oceano Pacifico.

(19 agosto 2012)

 

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Ultimo aggiornamento

29 Agosto 2012, 12:07